A VOLTE PUÒ ESSERE ENTRAMBI: DIFATTI IL PIGIAMA PUÒ ESSERE ANCHE INDOSSATO COME PAJAMA.
OGGI VI SPIEGO IL PERCHÈ E IL PER COME
A fasi alterne il pajama, outfit decisamente décontracté, torna di moda, ma non è proprio nato ieri…
Oggi vi racconto cos’è, perché chiamarlo pigiama sia riduttivo e soprattutto perché l’ho scelto per noi over50.
LE ORIGINI DEL PAJAMA
Il pajama è stato indossato per secoli come capo di abbigliamento comodo in paesi quali l’India e la Persia.
Pajama è una termine in effetti che deriva dall’hindi “pāy-jāma”, che significa “abito per le gambe”.
L’origine dei pajama risale all’antica Persia, dove un simile indumento era indossato trasversalmente sia dagli uomini che dalle donne, arrivando poi in India, dove in alcune aree quali il Punjab, viene ancora quotidianamente indossato.
Era a quei tempi già costituito da due pezzi separati: un pantalone ampio, che ricordava il “şalvar” (pantalone largo indossato dagli uomini durante l’Impero Ottomano) e una camicia allentata.
Durante il periodo coloniale, i britannici adottarono l’indumento dopo averlo visto appunto in paesi orientali quali l’India, la Persia ed il Bangladesh.
Da allora, il pajama ha trovato diffusione in tutto il mondo e solo successivamente viene adottato come indumento da notte, contrariamente a quanto si possa pensare.
L’ARRIVO DEL PAJAMA IN OCCIDENTE
In Occidente il pajama fu importato dagli inglesi nel 1870, colonizzatori dell’India e ben presto sostituì il camiciole da notte in tutto l’Occidente.
Denominato inizialmente “Mughal Breeches” veniva indossato come capo da notte e come loungwear solo dagli uomini, sovrapponendoci la giacca da camera (detta anche smoking).
I “Mughal Breeches” sono un tipo di pantaloni strettamente associati all’abbigliamento maschile durante l’Impero Moghul, che governò gran parte del subcontinente indiano dal 1526 al 1857.
Questi pantaloni erano caratterizzati da una vestibilità ampia sopra le gambe e aderente dal ginocchio in giù, spesso rastremato verso le caviglie o con elastico alla fine per mantenerne la forma. Solitamente erano realizzati in tessuti pregiati come seta o cotone ricamato, e potevano essere indossati sia come parte di un abbigliamento formale che informale.
I pantaloni “Mughal Breeches” rappresentavano elemento chiave dell’abbigliamento adottato dai regnanti e il loro design rifletteva un’evidente opulenza. Erano spesso indossati insieme a sherwani (giacche lunghe), kurta (camicie lunghe) o jama (tunica), completando così l’ensemble tradizionale maschile dell’epoca.
Oggi, l’abbigliamento ispirato al periodo Mughal continua ad avere un impatto sulla moda tradizionale e contemporanea del subcontinente indiano, e i Mughal Breeches possono essere ancora indossati per eventi formali, matrimoni o altre occasioni speciali.
L’EMANCIPAZIONE FEMMINILE
Negli anni ’20 inizia il processo di emancipazione femminile, con una moda più pratica anche per noi donne, grazie soprattutto a Coco Chanel, che come primo atto di rottura delle convenzione nell’abbigliamento femminile del suo tempo, elimina la sottogonna.
Coco Chanel, tra le tante rivoluzioni che porta avanti, fa del pajama un capo sofisticato, un po’ androgino / à la garçonne come a lei piaceva, ma informale.
Sebbene Coco Chanel sia famosa soprattutto per il suo stile elegante e raffinato, è importante difatti sottolineare che lei stessa sia stata una pioniera della moda comoda.
Negli anni ’20 Chanel ha introdotto una serie di capi che incarnavano lo spirito del tempo e rispondevano alle esigenze delle donne moderne.
Questo includeva anche l’adozione e l’adattamento di capi di abbigliamento considerati tradizionalmente maschili o informali, tra cui appunto il pajama. Chanel ha contribuito a rendere accettabile l’uso di pantaloni da donna in determinati contesti sociali, incoraggiando l’adozione di un abbigliamento più pratico e funzionale.
Sebbene Chanel non abbia creato specificamente il pajama, il suo approccio alla moda informale ed il suo stile innovativo hanno certamente influenzato l’evoluzione degli abiti da notte e dell’abbigliamento per la casa.
Coco Chanel ha contribuito a rendere il pajama più accettabile e alla moda, ispirando l’adozione di tessuti di lusso e dettagli preziosi, rendendolo adatto anche alle uscite più eleganti: bastavano qualche filo di perle e un tacco.
Il pajama negli stessi anni si affaccia in spiaggia, assecondando l’esigenza delle donne di allora di scoprirsi, ma non troppo, sentendosi a proprio agio.
Nasce il Beach Pajama e ovviamente Coco Chanel lo indossava.
“C’è una città in Francia dove le estati iniziano all’inizio della primavera e finiscono alla fine dell’autunno”, scriveva Robert de Beauplan nel 1931. “Lì, puoi vedere donne che indossano abiti strani. Stiamo parlando di Pyjamapolis.” (Antibes – Juan le Pin)
“Una donna dovrebbe indossare pigiami in cene abbastanza formali a casa sua, a cena a casa di altri in città o in campagna, se si conoscono bene, mentre le più giovani e iconoclaste lo portano anche a teatro.” Vogue Magazine 1927.
IL PAJAMA DA PARTY
Daisy Fellowes, Chief Editor di Harper’s Bazaar France, lancia negli anni ’30 la moda del Pajama da Party, imponendo nel Dress Code di un suo evento un pajama in seta blu pavone.
Fu un successo clamoroso, vi parteciparono dalle star del cinema quali Greta Garbo e Joan Crawford a tutti gli editor di moda.
Daisy Fellowes, figlia del fondatore della Singer, era una figura di spicco dell’alta società nel XX secolo, nota per il suo stile distintivo e la sua influenza nella moda. Era anche una socialite, scrittrice e icona di stile, per questo i suoi abiti e le sue creazioni hanno spesso avuto un impatto significativo sulla moda dell’epoca.
Il termine “Pajama Daisy Fellowes” si riferisce a uno stile particolare di pajama o ad un capo di homewear ispirato al suo stile.
IL PAJAMA A HOLLYWOOD
A contribuire alla diffusione del pajama tra la popolazione femminile ci pensò anche il cinema, con il film del 1934 “It Happened One Night”, dove l’attrice Claudette Colbert indossava con grande eleganza pigiami maschili.
Da allora il pigiama divenne un must per le dive dal grande schermo di quei tempi, da Greta Garbo, Katherine Hepburn e Joan Crawford.
Il pigiama in seta veniva indossato preferibilmente come tenuta dégagée per ricevere gli ospiti in casa, guadagnandosi l’appellativo di Hostess Pajama, a volte con colori sgargianti, ma sempre con dettagli eleganti.
DAL SECONDO DOPOGUERRA IN POI
Negli anni ’60, dopo un periodo di oblio e il secondo conflitto mondiale, la Principessa e modella Irene Galitzine ripesca il pajama e fa riadattare da Federico Forquyet per le Sorelle Fontana proponendolo in versione adatta ad eventi serali.
Diane Vreeland, Fashion Editor ai tempi di Harpers Bazar, lo battezzò Pyjama Palazzo.
Une mise tanto amata da Marella Agnelli e Jackie Kennedy, influenzando stilisti quali Emilio Pucci, Schiaparelli, Yves Saint Laurent e Givenchy.
Negli anni ’70 nasce la comoda versione di Ossie Clark, maestro di stampe caftani e pigiami, indossata anche per le serate disco dello studio 54.
Nasce il pajama in jersey.
Ma negli anni ’80 il pajama torna in camera da da letto, sino al rilancio di Marc Jacobs per la collezione fw2013 di Louis Vuitton del pajama in versione daywear.
Da quel momento in tanti hanno fatto sfilare pajamas di ogni genere. Dolce e Gabbana bel 2016 da vita ad una capsule tutta pajamas, lanciandola con un pajama party.
E OGGI?
Oggi il pajama è oramai un capo versatile, adatto sia all’homewear sia all’outwear, dunque “day to night”: basta cambiare gli accessori o indossare solo il sotto o solo il sopra.
Meravigliose le versioni in seta stampata, con il sopra a camicia oppure wrapped oppure il suo chemisier / vestaglietta o kimono.
Un solo capo nell’armadio da indossare a seconda del mood del giorno (e della notte)!
Se desiderate ulteriori informazioni potete scrivere a lacri@50enni.blog.
Alla prossima!
laCri
Se ti è piaciuto, potrebbero anche interessarti:
COS’E’ IL WRAP DRESS – ABITO MUST-HAVE PER NOI CINQUANTENNI