SI PUÒ PARLARE OGGI DI INCLUSIVITÀ ANCHE PER NOI OVER50 NELLA MODA? NE PARLO OGGI CON 3 VOCI AUTOREVOLI
L’argomento che voglio trattare qui oggi con i miei tre ospiti virtuali dividerà di sicuro la mia community: esiste davvero oggi una totale mancanza di inclusione di donne mature nella moda?
Non mi riferisco unicamente alle scelte stilistiche dei brand, ma anche alle apparizioni in passerella e nelle campagne pubblicitarie di modelle che ci rappresentino veramente, salvo rare lodevoli eccezioni.
Siamo tante, siamo le vere big spender, siamo longeve e dunque conduciamo ancora una vita attiva ed abbiamo davanti a noi ancora tanti anni di shopping!
In effetti qualche over50 ha fatto capolino durante le ultime sfilate parigine: donne bellissime con corpi super tonici. Nel contempo diverse campagne pubblicitarie hanno reclutato personaggi dello star system over60: meglio di niente…
La difficoltà a volte per noi donne overanta, con ancora tanta voglia di potere esprimere ancora il nostro stile, è valorizzarci con quanto offre il mercato senza dissanguarci in Atelier su misura.
È tremendamente difficile immaginarci nei medesimi panni della modella taglia 36/38 (e quanto ci irrita questo confronto…)
Capisco che, dopotutto, sia impresa meno ardua dare vita ad abiti destinati alla donna filiforme… ma la moda dovrebbe potere accontentare davvero tutti, indipendentemente da taglia e età, non trovate?
Ne parlo oggi con piacere attraverso un’intervista a 3, una novità qui su 50enni.blog, che spero raccolga il vostro favore:
- Antonio Mancinelli, scrittore, giornalista, critico di moda e docente universitario
- Marta Riello, anni 61, modella da quasi 10 anni, Fashion Model Milano e Silver Paris
- Patrizia Battelli, anni 57, modella da quando aveva 18 anni, Fashion Model Milano, Grey Model London
Cosa pensate della scelta alcune maison di “svecchiare” in questi ultimi anni le collezioni, rivolgendosi alla clientela più giovane?
A.M. La clientela giovane è come il Santo Graal per molte case di moda: sfuggente, esigente, ma tremendamente influente. E qui entra in gioco la strategia dello svecchiare, andando incontro ai Millennials, più che alla Generazione Z, con una serie di proposte che abbracciassero uno stile di vita confortevole, funzionale, disinvolto. Ma davvero i trenta/quarantenni di oggi (perché è tra loro che bisogna cercare i possibili clienti, non tra chi ha vent’anni oggi) non considerano l’acquisto di articoli di lusso come un investimento per il futuro, pensando anche di trasmetterli o rivendendoli in un momento successivo della vita? Certo: i tempi cambiano, i gusti si evolvono, e persino le Maisons più conservatrici si ritrovano a dover fare i conti con un mondo che corre a passo di sneakers, non di tacchi a spillo. Però la scelta delle nostre venerande Maisons di “svecchiare” le collezioni per accattivarsi la clientela giovane mi ricorda un po’ quei signori d’altri tempi che, per amore del progresso, tentavano di capire i misteri della locomotiva a vapore, pur rimanendo affezionati ai loro cavalli di razza. È un tentativo affascinante, degno di nota, ma non privo di rischi. I giovani, diciamocelo, sono come le farfalle: colorati, imprevedibili e sempre in movimento. Le grandi griffe, con la loro storia e il loro prestigio, sembrano voler attirare queste creature effimere con i loro fiori più esotici e profumati. Tuttavia, mi domando: in questo caleidoscopico inseguimento della giovinezza, non rischiamo forse di perdere quella profondità, quella cultura che ha sempre contraddistinto il mondo dei prodotti del lusso? Forse la sola cosa che bisogneremmo davvero far “ringiovanire” è la comunicazione dei brand, non tanto il loro lessico stilistico: non ci spiegheremmo altrimenti il grande successo del vintage, del pre-loved, dell’usato d’alta gamma oggi ricercatissimo su siti come quello di Vestiaire Collective o su app come Vinted o Depop. C’è un fascino intramontabile nella qualità e nella maestria artigianale che non dovrebbe mai essere offuscato da tentativi di modernizzazione un po’ troppo frettolosi. Trovo che un perfetto equilibrio tra tradizione e innovazione sia la vera chiave del successo. Diamo ai giovani il meglio dei due mondi: la solidità di una tradizione secolare e la freschezza di un design e di comunicazione che siano in linea con i tempi. In questo modo, li possiamo avvicinare ai valore del bello e del ben fatto, senza scadere nel ridicolo di un’eccessiva rincorsa a un target che, per forza di cose, non può troppo fidelizzarsi sia per ragioni di costi, sia per ragioni di utilizzo della moda come strumento per esprimere un’identità personale. E le identità mutano nel tempo, naturalmente.
M.R. Penso che sia una scelta più di evoluzione che di svecchiamento, il mondo sta cambiando e la moda si adegua di conseguenza. C’è anche da considerare che sono soprattutto i giovani a dare un contributo culturale per creare poi i trend…
P.B. Personalmente penso che essere alla moda sia una questione di stile più che di età. Infatti credo che le Maisons si siano adeguate semplicemente allo scorrere del tempo e che per questo siano state apprezzate anche da un pubblico più giovane.
In Italia non esistono agenzie esclusivamente per modelle “Âgées”, contrariamente a Parigi, Londra e New York. Cosa ne pensate?
A.M. Partiamo da un punto fondamentale: l’Italia, terra di bellezza senza tempo, patria del Rinascimento e dell’eleganza eterna, sembra aver sviluppato una sorta di ossessione per la giovinezza. È come se fossimo tutti presi dall’incantesimo di Dorian Gray, desiderosi di mantenere un aspetto eternamente fresco e giovane. Ma, ahimè, la realtà è ben diversa, e c’è una bellezza altrettanto affascinante nell’esperienza e nella maturità. Guardiamo oltre le Alpi, verso Parigi, Londra e New York, dove la moda abbraccia una visione più inclusiva e meno ossessionata dal ticchettio dell’orologio biologico. Lì, le modelle âgée sfilano con grazia e portamento, dimostrando che l’eleganza non ha età. Sono come i grandi vini: migliorano con il tempo, acquisendo profondità e carattere. Perché, allora, l’Italia non segue questo esempio? Perché siamo ancora così riluttanti a riconoscere il fascino delle rughe che raccontano storie, delle chiome argentate che riflettono saggezza? Forse, la risposta risiede in una mentalità che fatica a cambiare. La moda italiana, pur essendo all’avanguardia in molti aspetti, sembra rimanere ancorata a stereotipi che valorizzano la giovinezza a scapito della maturità. Ma, attenzione! C’è un vento di cambiamento che soffia, seppur timidamente, anche sulle nostre passerelle. Alcuni stilisti coraggiosi iniziano a includere modelle di ogni età nelle loro sfilate, riconoscendo che la bellezza autentica non si misura in anni, ma in carisma e personalità. E allora, la mia riflessione è questa: l’Italia deve ancora compiere un importante passo evolutivo. Dobbiamo imparare a celebrare la bellezza in tutte le sue forme e in tutte le sue età. Le agenzie per modelle adulte non sono solo una necessità, ma un’opportunità per arricchire il nostro panorama estetico e culturale. Immaginate la potenza di una campagna pubblicitaria che unisca la freschezza giovanile alla raffinatezza della maturità! Sarebbe un inno alla diversità e un messaggio potente di inclusività. Perché, in fin dei conti, la moda è un riflesso della società in cui viviamo: variegata, complessa e meravigliosamente imperfetta. E, come disse Coco Chanel, «la bellezza comincia nel momento in cui decidi di essere te stesso».
M.R. All’estero, fortunatamente, i modelli/e ageès sono molto richiesti e lavorano da anni, quindi è scontato che siano nate agenzie di moda specializzate nel settore e questo sicuramente è un grande vantaggio. In Italia, solo ultimamente, alcune famose agenzie hanno inserito la sezione Classic nel loro sito, a dimostrare che qualcosa anche da noi sta cambiando.
P.B. Riguardo al mondo delle agenzie per over40/50 credo che l’Italia, come spesso accade, sia un pò in ritardo. La sezione “Ladies” è infatti presente in pochissime agenzie e direi anche piuttosto trascurata. In Germania, Francia o in America le over40s sono apprezzate e cercate già da anni. Basti pensare alla campagna Lancôme che scelse e risceglie Isabella Rossellini ancora oggi 64enne, oppure Victoria Secret che sceglie Elisabetta Dessy per riproporsi sulle passerelle dopo un periodo di stop. In Italia se un cliente vuole parlare della pelle di una donna di cinquanta anni cerca una modella di 30. Questo già spiega molte cose.
Il Marketing orienta oramai le scelte di stile di tanti direttori creativi. Come pensate si inseriscano i “boomers” in questo contesto?
A.M. I boomers, rappresentanti di una generazione che ha visto il mondo trasformarsi radicalmente (dalla rivoluzione culturale degli anni Sessanta all’era digitale), hanno un rapporto peculiare con la moda. Sono cresciuti in un’epoca in cui lo stile era una dichiarazione di identità, un simbolo di appartenenza ma anche di ribellione. Penso ai Beatles con i loro completi sartoriali, ai figli dei fiori con i loro abiti psichedelici, alle icone di stile come Jackie Kennedy e Audrey Hepburn, che hanno definito un’epoca con la loro eleganza senza tempo. Oggi si trovano ad affrontare un panorama della moda dominato dal marketing, dove le scelte di stile sono spesso guidate da algoritmi e tendenze virali. Eppure, il loro approccio rimane intrinsecamente legato a valori di autenticità e qualità. Non è un caso che molti brand di lusso continuino a puntare su prodotti che evocano un senso di artigianalità e durata, proprio per attrarre questa fascia di consumatori. Come disse una volta Yves Saint Laurent, «Le mode passano, lo stile è eterno». I boomers incarnano questa verità con la loro predilezione per capi che sfidano il tempo, preferendo il classico al fugace, il raffinato al modaiolo. E se il marketing cerca di sedurli con campagne nostalgiche e promesse di esclusività, è perché sa bene che questa generazione apprezza il valore del vissuto e della storia dietro ogni pezzo. Ma attenzione: i boomers non sono affatto impermeabili alle novità. Hanno abbracciato la tecnologia, si muovono con disinvoltura tra i social media e non disdegnano le innovazioni che portano comfort e funzionalità. Tuttavia, lo fanno con uno spirito critico, scegliendo con cura ciò che risuona con la loro esperienza e il loro gusto sofisticato. E allora, come si inseriscono i boomers in questo contesto dominato dal marketing? Con eleganza e discernimento, come è nel loro stile. Sono una bussola morale in un mare di tendenze fugaci, un punto di riferimento per chi cerca autenticità in un mondo sempre più standardizzato. La loro influenza si fa sentire non tanto nella quantità di acquisti, ma nella qualità delle scelte, spingendo i brand a mantenere alti standard di eccellenza e integrità. In conclusione, rappresentano una voce di saggezza in un coro dominato dalla giovinezza e dall’immediatezza. Il marketing può cercare di orientarli, ma sono loro, con la loro sensibilità ed esperienza di vita, a fare da veri arbitri del buon gusto.
M.R. Non credo ci sia al momento una posizione specifica per i boomers, e qui mi ricollego al fatto che la moda si sta evolvendo. Penso ci sia attualmente nel mercato un’ampia offerta di prodotti ed ognuno di noi, indipendentemente dall’età, può scegliere ciò che più gli si addice.
P.B. La parola boomers, che trovo ormai inflazionata, a mio sommesso parere vuole solo identificare un periodo storico di appartenenza, io appunto lo sono e personalmente mi pongo in posizione neutrale. Infatti, alla mia età, mi permetto il lusso di attingere alle proposte in modo selettivo e personale senza affezionarmi ad un brand o ad un griffe perché quello che detta legge oggi come oggi è lo street style spolverato dal fashion e non viceversa. Soprattutto per noi over il messaggio è cambiato, non tutte le donne vogliono apparire giovani e modaiole a tutti i costi. Le donne infatti non curano il proprio aspetto solo per sedurre, piuttosto per piacersi di più e per amarsi accettandosi, finalmente.
Parliamo di testimonial overanta nel beauty: eccezion fatta per Isabella Rossellini e la sua revenge anni fa in Lancôme, vengono scelte nella maggior parte dei casi 30-40enni massimo per le creme antiâge… condividete la scelta?
A.M. Qualche anno fa, non solo hanno usato una sua foto senza permesso per promuovere un siero antirughe, ma hanno dichiarato che il prodotto è efficace su donne che hanno un’età tra i 45 e i 60 anni: davvero troppi per la trentacinquenne Caroline Louise Forsling, supermodella svedese di fama internazionale che non ci ha pensato due volte e ha fatto causa al gigante dei cosmetici americano Estée Lauder, chiedendo due milioni di dollari di risarcimento. Mi terrorizza anche l’avanzare della cosmeticoressia, una patologia che colpisce bambine di dieci, undici anni, ossessionate dai prodotti per lo skincare utilizzando prodotti per adulte. Qui sta il punto: eccezioni come Isabella Rossellini sono rare. Il mercato del beauty sembra avere una sorta di ossessione per la giovinezza, selezionando testimonial che, a ben guardare, spesso non hanno nemmeno un segno del tempo sul volto. Certo, le 30-40enni sono affascinanti, ma parlare di creme antiâge con modelle che, di fatto, non hanno ancora affrontato le vere sfide dell’invecchiamento cutaneo, è un po’ come affidare la recensione di un libro a qualcuno che ha letto solo l’introduzione. Questa scelta di marketing, se da un lato può apparire strategicamente giusta – attraendo un pubblico giovane e aspirazionale – dall’altro rischia di alienare una fetta consistente e preziosa di consumatrici over “anta” che cercano autenticità e rappresentazione. Queste donne non solo sono numerose e con un potere d’acquisto significativo, ma possiedono anche una consapevolezza di sé che meriterebbe maggior spazio e visibilità. L’industria del beauty farebbe bene a riconsiderare il proprio approccio. Abbiamo visto esempi illuminanti come Helen Mirren e Charlotte Rampling che dimostrano quanto la bellezza possa essere radiosa e magnetica a qualsiasi età. Queste persone portano con sé un messaggio di fiducia e forza che risuona profondamente con il pubblico maturo, offrendo un modello di bellezza autentica e accessibile. Direi che il vero coraggio e la vera innovazione starebbero nel mostrare la bellezza in tutte le sue età. In un’epoca in cui si parla tanto di inclusività e diversità, è tempo che anche il settore del beauty abbracci appieno questi valori, celebrando le donne per ciò che sono, a ogni fase della loro vita. Anche se poi si fa la fila dal chirurgo estetico. Ma questo è davvero un altro discorso.
M.R. Ovviamente non condivido! La scelta di utilizzare una modella non proprio silver per pubblicizzare una crema antietà rende tutto poco veritiero. Ma sappiamo che la cosa più importante è vendere e per farlo bisogna far credere quanto miracoloso sia l’effetto del prodotto…
P.B. Questa domanda si riallaccia perfettamente alla mia considerazione fatta precedentemente, basti pensare al caso delle teenagers che usano creme antietà. La skincare è diventata virale e occuparsi della propria pelle pure, quindi che bello avere le rughe per potersele coccolare. Paradossalmente il messaggio sembra questo quando poi accanto si assiste al fenomeno, a mio avviso preoccupante, di uomini e donne (non solo del settore) che alla prima ruga ricorrono al botulino e sono ossessionati dal minimo segno espressivo sul volto già a vent’anni. La cosa che più mi sconvolge è che lo fanno con una naturalezza come fosse andare dal dentista. Come saranno le nonne del domani?
Antonio Mancinelli: come lei dice in un post su Instagram che ho tanto apprezzato, una volta la donna dopo i 50 anni si nascondeva sotto abiti scuri e informi, dimenticando il bel vestire. Oggi vorrebbe invece essere più libera di esprimere il proprio stile a piacimento. Pensa che l’argomento tocchi e spinga a interagire maggiormente la nostra generazione, oppure vede l’interessamento anche dei giovani?
Permettetemi di fare un salto indietro nel tempo, in un’epoca non così lontana in cui una donna che superava la soglia dei cinquant’anni veniva quasi invitata a ritirarsi dalla scena, come una diva che aveva ormai concluso il suo ultimo atto. Le mode erano spietate e la società ancora di più, relegandola in un di limbo sartoriale fatto di abiti scuri e forme anonime. Ma oggi le donne mature hanno preso d’assalto le passerelle, i red carpet e perfino i feed di Instagram, dimostrando che la moda è una forma di espressione personale che non conosce età: una rivoluzione che si riflette non solo negli armadi, ma anche nelle menti. La domanda che sorge è: questa nuova voglia di esprimersi tocca solo la nostra generazione, o anche i giovani? La risposta non credo coinvolga solo i nostri coetanei. Anche i Millennial e i ragazzi della Generazione Z si stanno accorgendo del fascino inossidabile delle over-fifty. Immaginate per un momento il mondo dei social media, quel regno digitalmente ossessionato dalla giovinezza e dalla perfezione. Ebbene, proprio lì sono emerse icone di stile come Iris Apfel, che abbiamo salutato alla veneranda età di 102 anni, sempre splendidamente adornata con occhiali oversize e perle gigantesche: la testimonianza che la moda non ha scadenza e che l’auto-espressione non deve mai essere sacrificata sull’altare dell’anagrafe. Per la nostra generazione, questa libertà ritrovata è una rivincita, una gioiosa ribellione contro i vecchi stereotipi: per i giovani, invece, è una fonte di ispirazione. Vedere donne mature che sfidano le convenzioni e celebrano la loro individualità può insegnare una lezione preziosa: la moda è una forma di dichiarazione personale che evolve con noi, arricchendosi di ogni esperienza in ogni fase della vita. E poi, diciamocelo con un sorriso: chi non vorrebbe prendere lezioni di stile da chi ha visto passare decenni di moda, ha vissuto la storia sulla propria pelle e sa esattamente cosa significa sentirsi a proprio agio nei propri panni? I giovani, sempre alla ricerca di autenticità, trovano nelle donne mature una fonte inesauribile di saggezza e originalità. Il tema della libertà dopo i 50 anni non solo tocca profondamente la nostra generazione, ma sta facendo germogliare un dialogo intergenerazionale ricco e stimolante. È un invito a vivere la moda come un viaggio, senza preoccuparsi delle tappe raggiunte, ma godendosi ogni momento con un pizzico di autoironia. E magari con un buon uso dello specchio, qualunque sia il numero di candeline sulla torta il giorno del nostro compleanno.
Lei, che ha a che fare quotidianamente con tutte le voci più autorevoli del settore, pensa che questo tema sia incluso sufficientemente a livello giornalistico e di brand?
Avendo avuto il privilegio di conversare con le voci più importanti del settore, posso affermare con un sorriso che questo tema merita sicuramente una riflessione più profonda e, ahimè, un’attenzione maggiore. Perfino tra noi colleghi, dopo le sfilate, si parla di tutto – dalle nuove collezioni ai gossip più piccanti – ma quando si tratta di temi di rilevanza sociale come l’inclusione, spesso si avverte un certo imbarazzo, come se si stesse cercando di discutere di politica a un party di gala. Sì, lo ammetto, ci sono segnali positivi. I brand stanno iniziando a fare passi avanti e alcuni giornali di moda più illuminati hanno dedicato molte pagine a queste importanti tematiche. Eppure, per essere del tutto onesti, c’è ancora molto terreno da coprire. In molti casi, il tema dell’inclusione viene trattato come un accessorio di stagione: piacevole, sì, ma non essenziale. Viene spesso relegato a rubriche speciali o articoli occasionali, mentre dovrebbe essere parte integrante del discorso quotidiano, tanto quanto le ultime tendenze in passerella o i nuovi colori di stagione. E poi, c’è la questione dei brand. Ah, i nostri amati marchi, sempre pronti a cavalcare l’onda del cambiamento quando soffia il vento del profitto! Molti hanno fatto campagne meravigliose, coinvolgendo volti e storie che celebrano la diversità. Tuttavia, quando si scava un po’ più a fondo, ci si rende conto che queste iniziative sono spesso episodiche, più legate a operazioni di marketing che a una vera e propria filosofia aziendale. Quindi, per rispondere alla vostra domanda con tutta la diplomazia di cui sono capace e un po’ di humour, direi che il tema dell’inclusione è certamente in agenda, ma forse non in cima alla lista. Ma c’è anche una questione economica: In un rapporto del britannico International Longevity Centre è stato evidenziato che l’ageismo e l’ignoranza dei bisogni delle generazioni più anziane rappresenteranno una minaccia di perdita di oltre 11 miliardi di sterline nei prossimi due decenni. È stato evidenziato che una volta superati i 75 anni, le donne smettono del tutto di spendere in vestiti, ricorrendo alla moda che seguivano prima. Sebbene queste donne abbiano un potere d’acquisto significativo grazie ai loro risparmi e non manchino il desiderio di apparire alla moda, la mancanza di opzioni a loro disposizione le allontana. Se i marchi fossero più furbi riguardo al marketing, arriverebbero alla cruda consapevolezza che, prendendo di mira solo una base di consumatori più giovani ed emarginando coloro che effettivamente producono potere insieme ad un interesse, stanno trascurando enormi quantità di profitto. Rinnovando la strategia di marketing per renderla inclusiva, questa fetta significativa di consumatrici detiene un immenso potere monetario. Il mio augurio, quindi, è che la moda inizi a considerare l’inclusione non come una tendenza passeggera, ma come un pilastro fondamentale del futuro. In definitiva, il cammino è ancora lungo, ma sono certo che arriveremo lontano. Come direbbe il buon Oscar Wilde, “Sii te stesso, tutti gli altri sono già stati presi”. La moda, alla fine, non dovrebbe forse insegnarci proprio questo?
Marta e Patrizia: possibile reinventarsi modella dopo i 50 anni?
M.R. La mia storia è l’esempio di come nella vita tutto sia possibile, a patto che ci sia passione, impegno e determinazione. Non bisogna arrendersi di fronte alle difficoltà, agli insuccessi, ai no… E’ sicuramente un cammino faticoso, specialmente ad un certa età, ma proprio per questo motivo, è ancora più gratificante per me.
P.B. Tutto è possibile, secondo me, c’è da dire che modella è un vero e proprio lavoro che implica competenze e capacità, sicuramente sono necessari determinati requisiti. Improvvisarsi è sempre un tuffo nel vuoto, ma perché no?
Per quale genere di brand lavorate in genere? Lavorate mai assieme a coetanei?
M.R. Ho lavorato per vari brand. Da aziende di occhiali all’abbigliamento, dalla skincare ai gioielli e molto altro. Ho partecipato a sfilate, posato per editoriali di magazine importanti e fatto spot pubblicitari in tv. A volte mi è capitato di lavorare con dei colleghi coetanei e devo dire che è stata una bella esperienza.
P.B. Avendo iniziato la mia carriera a 18 anni come indossatrice per Valentino e continuato negli anni a sfilare per le grandi Griffes, personalmente sono inserita in un contesto Fashion e Brand di lusso e rientro in quella categoria. Mi è capitato di pubblicizzare yacht di lusso o elicotteri e spesso avevo accanto modelli uomini professionisti della mia età o anche più grandi.
A Milano sono localizzate le agenzie di modelle più prestigiose, ma poche hanno una sezione “classic”, altre la “curvy” (che parte spesso dalla 42…), nessuna specializzata in Silver: quali sono le difficoltà oggettive di una modella matura in Italia?
M.R. Come anticipato, ormai in quasi tutte le grandi agenzie di Milano in Italia le cose si stanno evolvendo e per noi modelle silver esiste la sezione classic. Rimane per me abbastanza difficile iniziare delle collaborazioni con i brand più alti non avendo un passato da modella e non facendo parte di questo ambiente da tempo. I brand più alti preferiscono rivolgersi alle agenzie specializzate all’estero e ai volti noti.
P.B. Confido rispetto alle modelle Silver, che anche l’Italia seppur molto lentamente, voglia nel breve recuperare. Basti pensare che anni fa per un lavoro per Vogue a Milano venni contattata dalla mia agenzia di Londra anziché da quella di Milano. Sul set il cliente si stupì dicendomi che aveva chiesto proposte di modelle over50 alla mia agenzia italiana senza ottenere risposta. Che dire? Più tardi l’agenzia mi spiegò che fa fatica a proporre donne di 50 anni perché, anche se il cliente le cerca, poi conferma la modella di almeno, e sottolineo almeno, 10 anni di meno. Finché questo stereotipo non riesce ad essere corretto penso che l’Italia rimarrà indietro rispetto agli altri paesi.
Venite mai contattate da agenzie straniere?
M.R. Proprio di recente ho firmato un contratto con la SILVER di Parigi. E’ sicuramente una grande soddisfazione a questo punto della mia carriera professionale e spero con tutto il cuore di poter ottenere risultati soddisfacenti da questa importante opportunità lavorativa.
P.B. Sono una modella over5o, o Vintage come piace definirmi, collaboro con chiunque mi proponga lavori conformi al mio target, che siano agenzie italiane e straniere o direttamente clienti italiani o esteri.
Ringraziando i miei ospiti mi auguro che, pian piano, l’idea di considerare anche le nostre esigenze diventi per gli operatori della moda prioritario.
Vi faccio presente che esiste anche un magazine in formato digitale dedicata a noi over50 che promuovo sempre con piacere e per la quale curavo tempo fa una bella rubrica, “un caffè con Cristina”, si chiama Neoque. I servizi fotografici sono curati da fotografi freelance e le modelle sono sempre overanta. Il messaggio che Neoque trasmette con coraggio mi arriva sempre potente e mi commuove.
Eccovi il LINK alla mia presentazione qui, un’intervista che Neoque mi ha fatto LINK e il LINK alle ultime pubblicazioni.
Dopotutto, come recita il mio claim, “la vita comincia a…”, perché non è mai troppo tardi per quanto si voglia fare per stare bene.
Alla prossima!!!
la Cri
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