Ognuno di noi può fare qualcosa per rendere la moda sempre più eticamente corretta, contrastando lo sfruttamento delle popolazioni meno agiate a favore della sovrapproduzione, concausa tra l’altro dell’aumento esponenziale dell’ inquinamento globale.
- Leggere sempre sulle etichette il luogo di produzione. Il disastro del Rana Plaza in Bangladesh ove morirono 5 anni fa 1100 persone, tra cui migliaia di operaie (ed i loro bimbi nelle nursery) delle fabbriche tessili abusive ivi insediate, non può essere dimenticato. Disastro evitabile se i proprietari di tali attività avessero fatto evacuare i propri dipendenti una volta allertati di possibili cedimenti strutturali. Nonostante le successive 97000 misure correttive sulla sicurezza degli stabilimenti e degli impianti del rinato Rana Plaza, il fenomeno è tuttora presente sia in Bangladesh che in diversi paesi del terzo mondo, a cui continuano a rivolgersi parecchi marchi del “fast fashion” . Ricordiamoci anche che molti bimbi sono costretti a lavorarci, in condizioni disumane. Non alimentiamo questo fenomeno.
- Leggere attentamente le composizioni sulle etichette: anche un capo a basso costo può essere di qualità (e di buona fattura), ma spesso non lo è. A volte molte produzioni in economia impiegano coloranti non approvati dalla Food and Drug Administration, tossici per la nostra pelle: alcuni jeans per esempio possono lasciare il colore sulla cute, soprattutto se non tinti in filo. Significa anche a volte ritrovarsi con un capo deformato al primo lavaggio, oppure stinto, dunque da buttare, ma dove? Nell’ambiente?
- Meglio comperare quindi di meno ma di meglio: un abito di buona fattura può essere riadattato, se necessario, alla vostra nuova taglia e durare molto a lungo.
- Riciclare abiti ed accessori rimasti inutilizzati troppo a lungo nell’armadio. Buona usanza sarebbe organizzare in compagnia un divertente SWAP DAY all’americana: un drink, due risate ed assieme si riorganizza l’armadio, regalando alle amiche, donando a chi non ha mezzi, alle associazioni benefiche oppure rivendendo ai mercatini dell’usato. Recentemente vi abbiamo proposto sulla nostra pagina Instagram My Closet Milano, per esempio.
- Acquistare Vintage, va di moda! Fate un saltino se vi va da Eastmarket a Milano – in zona Lambrate una volta al mese. E date magari un occhio al Post che vi ho appena linkato, che ne dite?
Vi propongo in copertina l’immagine della vetrina di Harrods a Londra allestita da Vetements con un cumulo di abiti dismetti, a denuncia della sovrapproduzione e del consumismo eccessivo a discapito della qualità. Il ricavato della successiva svendita di tali abiti è stata devoluta alla National Society for Prevention of Cruelty to Children, con il patrocinio dello stesso storico magazzino londinese.